Discorso di J.K. Rowling in occasione
della cerimonia di Laurea del 2008 ad Harvard.
Traduzione dall’originale sul Harvard
Magazine
I benefici del fallimento e l’importanza
dell’immaginazione
Presidente
Faust, Membri della Corporazione di Harvard e Consiglio dei dirigenti, membri
della facoltà, orgogliosi genitori e, sopratutto, laureati.
La prima cosa che mi piacerebbe dire è “grazie”. Non solo Harvard
mi ha dato questo straordinario onore, ma le settimane di paura e nausea che ho
avuto al pensiero di aprire questo evento mi ha fatto perdere peso. Doppia
vittoria! Ora tutto ciò che devo fare è prendere una grande respiro, adocchiare
i rossi stendardi e sentirmi stupida nel credere di essere alla convention dei
primi della classe del mondo di Harry Potter.
Fare questo discorso è una grande responsabilità; o così pensavo
fino a quando sono tornata indietro con la mente alla mia laurea. Al mio posto
quel giorno c’era la brillante filosofa inglese Baronessa Mary Warnock.
Riflettere sul suo discorso mi ha aiutato enormemente a scrivere questo, perché
è andata a finire che non posso ricordare ogni singola parola che disse. Questa
liberante scoperta mi ha permesso di procedere senza alcuna paura di influenzarvi
inavvertitamente ad abbandonare le promettenti carriere nel mondo degli affari,
della legge o della politica per il frivolo piacere di diventare un mago
omosessuale.
Vedete? Se tutto ciò che vi ricorderete nei prossimi anni è la
battuta “gay wizard”, sono già un passo
avanti alla Baronessa Mary Warnock. Obiettivi raggiungibili: il primo passo
verso il miglioramento personale.
In realtà, ho devastato la mia mente e il mio cuore per cercare
quello che avrei dovuto dire oggi. Mi sono chiesta cosa avrei desiderato
sentire alla mia cerimonia di laurea, e quali importanti lezioni io avessi
imparato in questi 21 anni che sono passati da quel giorno.
E mi sono comparse due risposte. In questo fantastico giorno in cui
siamo tutti riuniti per celebrare i vostri successi accademici, ho deciso di
parlarvi dei benefici del fallimento. E mentre siete sulla soglia di quella che
qualche volta chiamate “vita reale”, voglio decantare l’importanza cruciale
dell’immaginazione.
Queste possono essere donchisciottesche o paradossali scelte, ma
per favore abbiate pazienza con me.
Guardare indietro a 21 anni fa quando mi ero appena laureata non è
del tutto un esperienza incoraggiante per la 42 enne che sono diventata. A metà
della mia vita stavo facendo il bilancio tra le mie ambizioni e ciò che amici e
famigliari si aspettavano da me.
Ero convinta che l’unica cosa che avrei voluto fare, sempre, fosse
scrivere romanzi. Ad ogni modo, i miei genitori, che venivano entrambi da
esperienze di povertà e non erano riusciti ad andare all’università,
consideravano questa mia iperattiva immaginazione come una deliziosa e
personale stranezza che non mi avrebbe fatto pagare un mutuo o provvedere di
una pensione.
Avevano sperato che prendessi un diploma professionale; io volevo
studiare Letteratura inglese. Fu fatto un compromesso, che in retrospettiva non
ha soddisfatto nessuno, mi avviai allo studio di Lingue Moderne. Avevo appena
girato l’angolo alla fine della strada con l’auto dei miei genitori che mandai
il Tedesco in un fosso e fuggii precipitosamente per i corridoi degli studi classici.
Non posso ricordare quando dissi hai miei genitori che studiavo
Lettere classiche; potevano ben scoprirlo per la prima volta il giorno della
laurea. Di tutti gli argomenti su questo pianeta, penso che siano stati messi a
dura prova col nominarne uno meno utile della mitologia greca quando ci si
aspetta la consegna delle chiavi del bagno dei dirigenti.
Mi piacerebbe fosse chiaro, tra parentesi, che non biasimo i miei
genitori per il loro punto di vista. C’è
un termine ai rimproveri ai vostri genitori per avervi spinto nella direzione
sbagliata; il momento in cui siete abbastanza vecchi per prendere il timone, la
responsabilità tocca a voi. E quel che più conta, non posso criticare i miei
genitori per il desiderio di risparmiarmi l’esperienza della povertà. Lo furono
loro stessi, e pure io lo sono stata da allora, e sono abbastanza d’accordo con
loro che non sia un’esperienza sublime. La povertà comporta paura, e stress, e
qualche volta depressione; vuol dire mille piccole umiliazioni e privazioni.
Tirarsi fuori dalla povertà con le proprie forze, questo invece è ciò di cui
poter essere orgogliosi, ma la povertà stessa è romantica solo per gli stolti.
Ciò di cui avevo più paura alla vostra età non era la povertà, ma
il fallimento.
Alla vostra età, nonostante la chiara mancanza di motivazione
all’università, dove avevo perso troppo tempo nei caffè scrivendo storie, e
troppo poco tempo alle lezioni, sono stata capace di passare gli esami, e per
anni questo è stata la misura del successo della mia vita e di quella dei miei
compagni.
Non sono stupida abbastanza da avere la presunzione che perché
siete giovani, dotati e istruiti, voi non abbiate conosciuto privazione o
delusione. Del resto il talento e l’intelligenza non hanno mai reso immune
nessuno dai capricci del fato, e non ho mai supposto per alcun momento che
ciascuno qui abbia goduto di una esistenza di tranquilli privilegi e
soddisfazioni.
Comunque, il fatto che vi state laureando ad Harvard suggerisce
che non avete molta esperienza con il fallimento. Potreste essere guidati un
po’ dalla paura del fallimento tanto quanto dal desiderio del successo.
Effettivamente, la vostra concezione del fallimento potrebbe non essere troppo
lontana dall’idea del successo della media delle persone, così alta che avete
raggiunto la vetta accademica.
Alla fine, tutti dobbiamo decidere da soli ciò che rappresenta un
fallimento, ma il mondo è abbastanza ansioso di darvi una certa gamma di
criteri se voi lo permettete. Così penso sia giusto dire che oltre ogni misura
nei soli sette anni seguenti il giorno della laurea ho fallito in modo epico.
Un matrimonio eccezionalmente corto si è sgretolato, ed ero senza lavoro,
orfana di mia madre, e povera tanto quanto è stato possibile nell’Inghilterra
moderna, senza contare la mancanza di una casa. Le paure che i miei genitori
avevano manifestato e che io mi ero figurata, erano arrivate e, come da
manuale, ero il più grande fallimento che sapessi.
Ora, non starò qui a dirvi che il fallimento è divertente. Quel
periodo della mia vita fu brutto, e non avevo idea che la stampa lo avrebbe da
allora rappresentato come una sorta di fiabesca determinazione. Non avevo idea
quanto lungo fosse quel tunnel, e per molto tempo, ogni luce alla fine di esso
era una speranza piuttosto che la realtà.
Allora perché parlare dei benefici del fallimento? Semplicemente
perché fallire ha voluto dire spogliarsi dell’inessenziale. Ho smesso di
fingere di essere qualcos’altro se non me stessa e ho iniziato a indirizzare
tutte le mie energie verso la conclusione dell’unico lavoro che per me aveva
importanza. Non mi occupavo davvero di nient’altro, se non trovare la
determinazione nel riuscire in un campo a cui credevo di appartenere veramente.
Ero finalmente libera perché la mia più grande paura si era davvero avverata,
ed ero ancora viva, e avevo già una figlia che ho adorato, e avevo una vecchia
macchina da scrivere e una grande idea. E così concrete basi divennero solide
fondamenta su cui ricostruire la mia vita.
Non potreste mai fallire su tutta la linea come feci io, una certa
dose di fallimento nella vita è inevitabile. È impossibile vivere senza fallire
in qualcosa, a meno che non viviate in modo così prudente da non vivere del
tutto – in quel caso, avrete fallito in partenza.
Fallire mi ha dato una sicurezza interiore che mai avevo raggiunto
superando gli esami. Fallendo ho imparato cose su me stessa che non avrei mai
imparato in un altro modo. Ho scoperto che ho una volontà forte, e più
disciplina di quanto avessi pensato; ho anche scoperto che avevo amici
veramente inestimabili.
Il sapere che vi rialzate più saggi e più forti dalle cadute
significa che sarete, da allora in poi, sicuri nella vostra capacità di
sopravvivere. Non conoscerete mai voi stessi, e la forza dei vostri legami,
fino a quando entrambi non saranno provati dalle avversità. Una tale conoscenza
è un vero dono, per tutto ciò che avrete vinto nella sofferenza, e per me ha
più valore di ogni altra qualifica abbia mai guadagnato.
Avendo una macchina del tempo o un Giratempo, direi alla me stessa
di 21 anni che la felicità personale si trova nel sapere che la vita non è una
lista di cose da raggiungere o in cui avere successo. Le vostre qualifiche, il
vostro CV, non sono la vostra vita, sebbene possiate incontrare molte persone
della mia età e oltre che confondono le due cose. La vita è difficile, è
complicata, è oltre la possibilità di essere totalmente sotto controllo, è
l’umiltà di sapere che sarete capaci di sopravvivere alle sue sfide.
Potreste pensare che abbia scelto il mio secondo argomento,
l’importanza dell’immaginazione, per la parte che essa ha giocato nel
ricostruire la mia vita, ma non è del tutto così. Sebbene difenda le storie
della buona notte fino all’ultimo respiro, ho imparato a dare valore
all’immaginazione in un senso più ampio. Immaginazione non è solo la capacità
unicamente umana di prefigurare ciò che non c’è, e perciò la fonte di tutte le
invenzioni e le innovazioni. Nella sua capacità discutibilmente più
trasformatrice e rivelatoria, è il potere che ci rende capaci di empatia con
gli altri esseri umani le cui esperienze non abbiamo mai condiviso.
Una delle più grandi esperienze formative della mia vita precede
Harry Potter, sebbene questa sia molto presente in ciò che successivamente
scrissi in quei libri. Questa rivelazione arrivò sotto forma di uno dei miei
primi lavori. Anche se scappavo a scrivere storie durante le mie pausa pranzo,
pagai l’affitto nei miei vent’anni lavorando nella sezione ricerca della sede
centrale di Amnesty International a Londra.
Là nel mio piccolo ufficio lessi lettere portate fuori
illegalmente dai regimi totalitari scritte precipitosamente da uomini e donne
che stavano rischiando la prigione per informare il mondo esterno di ciò che
stava loro accadendo. Vidi le foto di coloro che sparirono senza traccia,
mandante ad Amnesty dalle loro disperate famiglie e amici. Lessi le
testimonianze di vittime della tortura e
vidi le immagini delle loro ferite. Aprii i resoconti manoscritti di processi
sommari ed esecuzioni, di rapimenti e stupri.
Molti dei miei colleghi erano stati prigionieri politici, persone
che erano state prelevate dalle loro case, o erano fuggite in esilio, perché
avevano avuto la temerarietà di pensare in modo indipendente dai loro governi.
Gli ospiti del nostro ufficio comprendevano chi veniva a dare queste
informazioni, o provavano e scoprivano ciò che succedeva a quelli che erano
stati costretti a lasciare tutto.
Non potrò mai dimenticare una vittima delle torture in Africa, un
giovane uomo poco più vecchio di me a quel tempo, che divenne un malato di
mente dopo tutto ciò che aveva subito nella sua patria. Tremava in modo
incontrollato mentre parlava alla videocamera delle brutalità che gli erano
state inflitte. Era alto circa
E finché vivrò mi ricorderò il camminare lungo un corridoio vuoto
e all’improvviso sentire, da dietro una porta, urla di dolore e orrore come non
aveva mai sentito fino ad allora. E poi la porta si aprì, e la ricercatrice
sporse la testa e mi chiese di correre e procurarmi una bevanda calda per il
giovane che sedeva con lei. Gli aveva appena dato la notizia che per
rappresaglia verso il suo chiaro comportamento contro il regime del suo paese
sua madre era stata presa ed uccisa.
Ogni giorno della mia settimana lavorativa dei miei vent’anni mi
rammentavo quanto incredibilmente fortunata fossi a vivere in un paese con un
governo democraticamente eletto dove un rappresentante legale e un pubblico
processo erano i diritti di ciascuno.
Ogni giorno vedevo con più evidenza i mali dell’umanità che
avrebbero afflitto gli stessi esseri umani per ottenere o mantenere il potere.
Inizia ad avere incubi, veri incubi, sulle cose che vedevo, sentivo e leggevo.
E inoltre ho anche imparato molto di più sulla bontà umana ad
Amnesty International di quanto mai avessi fatto prima.
Amnesty attiva migliaia di persone che non sono mai state
torturate o imprigionate per le loro convinzioni a favore di quelle che lo sono
state. Il potere dell’empatia umana, che guida l’azione collettiva, salva vite
e libera i prigionieri. Persone ordinarie, a cui non manca benessere e
sicurezza, si uniscono insieme in gran numero per salvare persone che non
conoscono e che mai incontreranno. La mia piccola partecipazione in quel
processo fu una delle esperienze della mia vita che mi hanno reso più umile e
che mi hanno più ispirato.
Diversamente da ogni altra creatura su questo pianeta, gli esseri
umani possono imparare e capire, senza avere esperienza diretta. Possono
immedesimarsi nella mente delle altre persone, immaginarsi al posto degli
altri.
Naturalmente questo è un potere, come la magia nel mio romanzo, che
è moralmente neutrale. Si può usare una tale abilità per manipolare, o
controllare, oltre che per capire o condividere.
E molti preferiscono non esercitare affatto la propria
immaginazione. Scelgono di rimanere comodamente nei confini della loro esperienza,
mai turbati dal chiedersi come si sentirebbero ad essere se non se stessi.
Possono rifiutare di sentire urla o di guardare nelle prigioni; possono
chiudere le loro menti e il cuore alla
sofferenza che non li tocca personalmente; possono rifiutare di sapere.
Potrei essere tentata di invidiare le persone che vivono in quel
modo, eccetto che non penso che per gli incubi che loro non hanno tanto quanto
me. Scegliere di vivere in spazi ristretti può portare all’ agorafobia, e
quello può portare i suoi propri terrori. Penso che una persona ostinatamente
priva di immaginazione veda più mostri. Spesso sono molto più spaventati.
Quel che più conta, quelli che scelgono di non condividere le
emozioni possono rivelarsi veri mostri. Pur non commettendo mai un’azione del
tutto malvagia, possiamo favorirla attraverso la nostra apatia.
Una delle tante cose che ho imparato arrivata al termine di quel
corridoio dei Classici giù per il quale mi avventurai all’età di 18 anni, alla
ricerca di qualcosa che non potevo allora definire, fu questo, come scrive il
greco Plutarco: Ciò che otteniamo nel nostro intimo cambierà la realtà esterna.
Questa è un frase sorprendente e già provata mille volte ogni
giorno della nostra vita. Esprime, in parte, il nostro inspiegabile legame con
il mondo esterno, il fatto che influenziamo la vita delle altre persone
semplicemente esistendo.
Ma quanto di più voi, laureati di Harvard del 2008, influenzerà le
vite degli altri? La vostra intelligenza, la vostra capacità di lavorare sodo,
l’educazione che avete meritato e ricevuto, vi mette in una situazione unica, e
vi dà eccezionali responsabilità. Anche la vostra nazionalità vi rende diversi.
La grande maggioranza di voi appartiene all’unica superpotenza rimasta al
mondo. Il modo in cui votate, il modo in cui vivete, il modo in cui protestate,
la pressione che attuerete sul vostro governo, ha un impatto oltre i vostri
confini. Questo è il vostro privilegio, e il vostro onere.
Se sceglierete di usare il vostro status e influenza per alzare la
voce a favore di coloro che voce non hanno; se sceglierete di identificarvi non
solo con i potenti ma con i deboli; se conserverete la capacità di immaginarvi
nella vita di coloro che non hanno i vostri vantaggi, allora non saranno solo
le vostre orgogliose famiglie a ringraziare per la vostra esistenza, ma
migliaia e milioni di persone la cui realtà avrete aiutato a trasformare in
qualcosa di meglio. Non abbiamo bisogno della magia per trasformare il mondo,
noi portiamo tutto il potere di cui abbiamo bisogno già dentro di noi: abbiamo
il potere di immaginare le cose come migliori.
Sono quasi alla fine. Ho un’ultima speranza per voi, che è
qualcosa che avevo anche io a 21anni. Gli amici a fianco dei quali sedetti il
giorno della laurea sono diventati miei amici per la vita. Sono i padrini dei
miei figli, le persone alle quali mi sono potuta rivolgere in tempo di
difficoltà, amici che sono stati così carini da non citarmi quando ho usato i
loro nomi per i mangiamorte. Alla nostra cerimonia eravamo legati da grande
affetto, dalla nostra comune esperienza di un periodo che non potrà più
tornare, e, naturalmente, dal sapere che abbiamo tenuto una certa prova
fotografica che potrebbe essere di valore eccezionale se qualcuno di noi si
presentasse come Primo Ministro.
Così oggi, non posso desiderare per voi niente di meglio che tali
amicizie. E per il domani, spero che anche se non ricorderete una singola
parola di quanto detto da me, ricorderete queste di Seneca, un ‘altro di quegli
antichi romani che incontrai quando percorrevo il corridoio dei Classici,
ritraendomi dalla scala alla carriera, in ricerca dell’antica saggezza: La vita è come un racconto: non è importante
quanto sia lunga, ma quanto sia buona.
Vi auguro tutto il bene possibile per la vostra vita
Grazie infinite